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RUBRICHE- CULTURA PSICHIATRICA:UN PASSO OLTRE I “PREGIUDIZI”

Antonio Cantelmo*|In Italia abbiamo una certa immagine dell’America, spesso distorta da un provincialismo presuntuoso, che ci induce a pensare che laggiù vi sia il trionfo della medicina scientifica, della psichiatria biologica in particolare. Ci sorprendiamo infatti quando veniamo a sapere che tutte le Facoltà di Medicina americane hanno corsi di “medical humanities” o che alla Columbia University si insegna la “medicina narrativa”. La realtà è dunque più complessa di come la vorrebbe qualche pregiudizio. La ricchezza di fermenti umanistici o culturali in ambito medico “anglosassone” è in effetti sorprendente, perlomeno nel campo delle applicazioni cliniche e della formazione. In questo clima di cambiamento che coinvolge la mentalità, i paradigmi professionali e i programmi formativi, il Comitato per la Psichiatria Culturale formato dal Group for the Advancement of Psychiatry dell’American Psychiatric Assocition (APA) propone un volume sul tema della dimensione culturale nella psichiatria clinica. Anche se il titolo originale è “Cultural Assessment in Clinical >Psychiatry”, sembra corretto e pertinente anche nella traduzione italiana. Il libro è infatti un sintetico excursus delle principali variabili culturali accompagnato da esempi di applicazioni cliniche della formulazione culturale, secondo il DSM IV. L’intenzione degli Autori è di “proporre una visione pragmatica e moderna di come la cultura s’intreccia ed entra in relazione con la salute e la malattia mentale”. Tale proposito, cosi importante e ambizioso, non trova tuttavia una realizzazione del tutto convincente nel volume. Forse era necessario saggiare i limiti di una impostazione troppo “pragmatica e moderna”, prima di fare i conti con un campo che ha bisogno anche di una visione teorica e storica. In questo senso il libro presenta però problemi e domande di sicuro interesse. Nel tentativo, provvisorio quanto necessario, di definire questo campo d’interessi, gli autori identificano cinque funzioni della cultura che interessano direttamente la psichiatria e ne delineano le dimensioni di ricerca e di intervento clinico. Secondo tale modello, elaborato dal gruppo di Alarcòn, la cultura può essere uno strumento interpretativo ed esplicativo di comportamenti umani, funzionare da agente patogeno e patoplastico, ma anche da fattore diagnostico e nosologico, svolgere un ruolo terapeutico, e infine rappresentare un elemento critico nella gestione e nella strutturazione dei servizi clinici. Le variabili culturali prese in esame sono l’identità etnica, la razza,  il genere e l’orientamento sessuale, l’età, la religione, la migrazione, lo status socioeconomico, il grado culturale, , la lingua e l’istruzione.  Alla fine della lettura si prova però un certo disorientamento, per la difficoltà di coordinare e tenere insieme variabili tanto eterogenee, forse dovuta alla carenza della riflessione teorica e metodologica, ma anche per una certa programmatica volontà di comprendere questi aspetti da un punto di vista “psichiatrico” puro. Quando si affronta un tema vasto che richiederebbe un’integrazione critica di saperi con diverso statuto, si incontrano infatti svariate difficoltà. Ad esempio, il tentativo di discriminare ciò che è biologico da ciò che è culturale, si scontra con l’evidente insufficienza di un’attribuzione rigida e netta di pertinenza o di causalità. Questo dualismo, che risulta ormai, bisogna dirlo, scarsamente utile sul piano euristico nel contesto dello studio della cultura può apparire persino un residuo ideologico. Prendiamo, tra i molti temi, quello del genere sessuale. Cosa può esserci di più “biologico” di un carattere di tale evidenza anatomica? E tuttavia, non è anche il principale fattore culturale alla base dell’identità dell’individuo e del funzionamento delle società? Un altro problema esemplare riguarda la difficoltà ad integrare aspetti prettamente socioculturali in un ambito, quello medico, che non ha strumenti adeguati per gestirli. Il libro, ad esempio, accoglie l’identità etnica e la razza tra le variabili culturali, ma deve poi onestamente riconoscere le genericità. Gli stereotipi e i pregiudizi che le rendono estremamente rischiose nella pratica clinica. L’invito ai lettori è pertanto quello di prestare la dovuta attenzione agli aspetti culturali, ma sempre mantenendo la massima cautela e un senso critico indispensabile in questo contesto. La conferma della problematicità applicativa della formulazione culturale ci viene dalla lettura dei casi clinici. Si tratta di pazienti con problemi legati all’emigrazione, all’acculturazione o coinvolti nella negoziazione tra valori in conflitto. Il rapporto tra il disturbo mentale e qualche fattore culturale si dimostra importante per la comprensione del decorso, ma è la relazione terapeutica ad essere necessariamente investita da questa aspetti. I casi illustrano la necessità di valorizzare la dimensione culturale per poter rispondere in modo personalizzato e sensibile alle richieste del paziente e della sua famiglia. Trascurare questo impegno potrebbe infatti significare un sicuro fallimento terapeutico. Ecco allora che il Group for the Advancement of Psychiatry propone le linee guida dell’APA e il DSM IV-TR come riferimenti ineludibili, anche in questo campo. Dalle premesse, che non si possono non condividere, si giunge dunque ad una conclusione che lascia un po’ insoddisfatti. Ma anche di questa conclusione si dovrà tener conto, nel proseguire il dibattito teorico e le ricerche sul campo. La psichiatria culturale sembra destinata a rivestire un ruolo sempre più importante sul piano clinico, dal momento che si tende a riconoscere l’insufficienza di ogni approccio terapeutico che prescinda dalle variabili antropologiche. Al di là dell’applicazione categoriale o dimensionale della diagnosi, emergono con un ruolo non trascurabile numerosi aspetti qualitativi della condizione di malattia. Può sembrare, allo stato delle conoscenze un’indebita e improduttiva complicazione delle procedure cliniche, ma bisogna comunque fare i conti con le sfide sociali che coinvolgono la pratica psichiatrica. Resta da vedere se la formulazione culturale del DSM IV – TR sia veramente lo strumento più adeguato per questo compito. L’affermazione conclusiva del libro, la “componente culturale è un aspetto indispensabile per la formazione degli psichiatri futuri e di altri specialisti della salute mentale e un aspetto fondamentale di ogni diagnosi da loro effettuata”, proietta realisticamente su una nuova generazione di terapeuti il compito di integrare la cultura nella clinica. Tuttavia, facendo questo, sembra trascurare l’importanza di altri saperi ed esperienze avviate da tempo, come l’etnopsichiatria e l’antropologia medica, che guidano già l’impegno professionale di non pochi psichiatri. Trascuratezza non proprio innocente, ma che non sorprende troppo. La cultura, comunque la si definisca, è sempre stata il terreno di aspre battaglie e continuerà ad esserlo, anche per la psichiatria.

*Dott. Antonio Cantelmo – Medico – Chirurgo, Specialista in Psicologia Clinica e Psichiatria, Dirigente Medico UOC Medicina Generale e Pronto Soccorso ASL Caserta, Socio della Società Italiana di Psichiatria – Pratella (CE ) – 0823/783600 – 330/659140 – antonio.cantelmo@libero.it

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3 Comments on RUBRICHE- CULTURA PSICHIATRICA:UN PASSO OLTRE I “PREGIUDIZI”

  1. … E in Italia invece che tipo di documenti e riflessioni vengono proposte? A parte la facciata televisiva per arraffarsi pazienti, per poi mostrare, nello studio, il lato disumano (e pedante) e il loro disturbo ossessivo-compulsivo per il denaro, mi pare che i medici del nostro paese, oltre alle solite solfe pedanti, siano molto indietro rispetto ad altri paesi.

  2. Dott. Antonio Cantelmo (Medico-Psichiatra e Libero Pensatore) // 9 Maggio 2018 a 22:55 // Rispondi

    Gentilissimo signor Renzo, ho letto con molta attenzione la sua sacra osservazione, e cosa vuole che le dica che per la maggiore sono d,accordo con lei. A tale scopo determinati format televisivi non dovrebbero assolutamente posti in essere, ma a volte spesso accade anche questo. Anche io di sovente aborro da tutto ciò, ma spesso la mia voce, per quel che può valere, resta uno sterile eco nel deserto. Spero almeno che quanto io possa dire a mezzo casertasera.it, possa in qualche modo a lenire questo stato soporoso. Però mi consenta di replicarle che in Italia in campo medico – psichiatrico non siamo assolutamente secondi a “nessuno”….manca solo una maggiore sensibilizzazione delle Istituzioni e di ognuno di Noi, della cosiddetta Società “civile”.
    La ringrazio per avermi letto, e mi auguro che continui a farlo; e se ha suggerimenti in merito a quanto da lei esposto e per qualsiasi altra ragione, io so qui ad ascoltarla con amore infinito.
    Con cordialità
    Antonio Cantelmo

  3. Certo sicuramente Lei sarà più aggiornato di me, ma in quanto a ricerca in campo neurologico mi pare che in Italia si vada vantando solo la scoperta dei neuroni specchio, che ormai, come la canapa light, vengono messi dappertutto. A proposito, non so se sta seguendo il discorso sulla cannabis, in Italia, almeno fino a questo momento, impediscono a ricercatori seri di fare ricerca ponendo a costoro ostacoli nel reperire le infiorescenze. Eppure questa pianta, per ricollegarmi alla sua attività, potrebbe (lo è) un valido sostituto\coadiuvante dei serotinergici, degli antipsicotici e soprattutto degli ansiolitici. So bene che fino ad ora una cura psicofarmacologica è più mirata, ma studiando meglio la suddetta pianta si potrebbero estrarre molecole altrettanto utili.
    A parte la psichiatria che in Italia non mi pare si sia molto evoluta – se si nominano certe patologie, ad esempio, anche esperti che non si capisce se lo facciano per farti sentire saccente o per sminuire la cosa, o perché realmente non ne sono informati, si nota una totale indifferenza alla cosa. in Italia, inoltre, a differenza degli USA, ad esempio la psicologia non gode di grande importanza.

    Grazie a Lei per la condivisione,
    Renzo

    P.S.: non credo che sia sacra nemmeno la Sacra Bibbia, figuriamoci quattro mie righe buttate in un blog.
    P.S.: prima di scrivere, anche se poi sono andato fuori argomento, avevo letto la sua recensione.

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