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A PROPOSITO DI UN MANOSCRITTO RINVENUTO A CERRETO SANNITA E DI UNA SUORA CONDANNATA A VITA

Rosario Di Lello| In un numero precedente ho scritto della Inquisizione, in generale e concernente, in prevalenza, le diocesi di Caiazzo e di Alife; (1)  in questa sede ne dirò per quanto riguarda la limitrofa diocesi di Telese-Cerreto e per come notizie intriganti, in particolare attinenti al sesso, facciano presa sulla opinione pubblica e vengano, spesso, inventate, ingigantite e distorte. Tanto e non soltanto, sembra si possa desumere da copia di un manoscritto relativo alla storia di Giulia De Marco, rinvenuto nel monastero delle Clarisse in Cerreto Sannita e dato alle stampe da Giuseppe Michele Rossi con interessanti “considerazioni personali”. (2)

Intanto, nella presentazione, il Rossi rammenta che Guido Piovene, dopo aver letto il medesimo documento ha puntualizzato, per Cerreto: “…e v’è una relazione su una monaca del Cinquecento condannata dall’Inquisizione dopo aver messo queste parti a soqquadro, perché, Rasputin in gonnella, sosteneva e applicava la dottrina che non esiste nulla d’illecito per i perfetti predestinati dalla Grazia di Dio”.

La medesima “relazione”,  dopo avermi spinto a riflettere  se  il contenuto non sia stato insufficiente per quanto espresso dal Piovene, mi ha sollecitato a qualche altra considerazione.

Ebbene, il resoconto  –aggiungo– mancante di autore, privo di data e senza riferimento a fonte alcuna, mi sembra, per qualche accenno nel testo, di anonimo cerretese e, per quanto è dato leggere in altre opere, (3) o di o tratto da Nicola Rotondi, Memorie storiche di Cerreto, ms., vol. 1, 1875.

L’ignoto autore, infatti, al termine di un riferimento sulle eresie, ha annotato, nel particolare: “Copia antico manoscritto del convento delle Clarisse di Cerreto Sannita dove fu scoverto. […]Intendo parlare della Eresia di Suor Giulia De Marco, la cui Storia è gran parte della Storia dell’Inquisizione di quei tempi.  Era nata costei in Napoli di Tommaso Di Marco nel 1578”.  E qui va rilevato che, com’è noto, Giulia, di umili origini, nacque, invece,  in Molise e, dopo la morte dei genitori  fu condotta a Napoli quale domestica.

 In seguito, “vestitasi dell’abito del Terzo Ordine di S. Francesco, si confessava da un prete dell’ordine degli infermieri nomato D. Aniello Arciero, cui parve scorgere in lei affatto singolare il dono di castità, con altri del tutto divini e soprannaturali”. Tuttavia, questo primo confessore fece credere “alla sua penitente che ogni carnale suzzura anzicché bruttar l’uomo, il rende grazioso e pregevole agli occhi di Dio”.   Non solo, “mise in cuor di Suor Giulia far comune a tutti così fatto preziosissimo dono”.

Anzi, “già essendo da tutti  riputata e detta Santa”, per farle acquistar credito  “prese a disvelarle ogni dì i difetti più occulti” di quanti a lui si confessavano, sicché la suora, “rimprocciandoneli dolcemente, ne fosse creduta piena dello spirito di Dio”.  E così vennero a Giulia “maschi e femmine delle più gentili famiglie, ed oltre a ciò preti e monaci di ogni ordine a dirsene devoti e figlioli, e chiamar lei Madre per eccellenza ed […]adorarne la Madre Maestra dovunque fosse”.  E lei “Insegnava poi loro essere la fornicazione ed ogni immondizia meritoria presso Dio”.

Da notare: lo scrittore sostiene essere Giulia “reputata e detta Santa” già prima d’incontrare l’Arciero  e non spiega in che modo questi abbia potuto confessare pure  un numero considerevole di “preti e monaci d’ogni ordine” e, di certo, non sprovveduti, conoscerne i segreti e coinvolgerli nel detto stratagemma. Ma procediamo col testo.

Volgendo quindi il 1604 Monsignor Fra Deodato Gentile Vescovo di Caserta allora inquisitore in Napoli, ne scrisse al S. Uffizio di Roma, per cui il Padre Aniello fu quivi chiamato, ove scolpatosi, sentì ingiungersi che non osasse uscire dallo Stato Pontificio, e Suor Giulia messa a prova nel Monastero di S. Antonio di Napoli, dandosene a confessore D, Ludovoco Antinoro dei Padri Teatini”.

A questo proposito, non vien detto perché, a causa di così deplorevole comportamento, del pari suor Giulia non sia stata chiamata a Roma per discolparsi, come invece accadrà soltanto dopo oltre dieci  anni.

 Fatto sta che, anche in quel luogo di culto, la suora “prese a spacciar subito intima unione con Dio, e lume Celestiale […]” e a rivelare “ogni carnapiscevole appetito ed alle sue parole non solamente altri creduli prestaron fede, ma lo stesso Antinoro suo Confessore”. Pertanto, non la smisero di trattare “occultamente con lei contro il divieto alcuno dei suoi seguaci, e principalmente Giuseppe De Vicariis, […]Essendosi tutto questo saputo, d’ordine del S. Uffizio fu Suor Giulia nel 1607 […] fatta tradurre nel convento di nostre Chiarine di Cerreto. Le venne immantinente appresso Giuseppe de Vicaris […]”.

Non si sa perché nemmeno allora  sia stata convocata a Roma; né si dice di provvedimenti a carico dell’Antinoro. In più, è da evidenziare che oltre l’accennato rinvenimento del testo originale in Cerreto, inducono almeno a suppore che lo scrittore sia stato un ecclesiastico cerretese (4)  tanto l’espressione “nostre Chiarine in Cerreto” ossia suore del le nostro convento di santa Chiara, quanto il minuzioso elenco di quelle locali.

A Cerreto,  “Suor Giulia , come prima vi fu venuta, vide modo ingannarle e come aveva fatto in Napoli […] di farsi tenere per Santa. Per triste sua sventura però si avvenne in religiose donne le quali quanto in se buone , altrettante erano savie e accorte con altrui. Non solo dunque non si lasciarono prendere dalle apparenze […].

 Se non che, “Temendo per tanto giustamente di essere diffamata, ingegnossi nel 1610 pel sidetto De Vicaris di farsene tramutare in quello di Nocera dei Pagani” dove fu “accolta con gran festa, e quivi seppe talmente ingegnarsi, e farsi credere santa, che riuscendone” dopo pochi mesi “per tornarsene, a Napoli suonaronsi per la città le campane ad onorarla, e tutti se ne facevano benedire in ginocchioni”.

Dunque,  suor Giulia era stata mandata, ancora, in due luoghi diversi, non a Roma.

 Alla fine, il testo, chiamando in causa un tardivo intervento di Nostro Signore, passa all’epilogo della vicenda: “Iddio però non lasciando che la gente fosse ingannata più lungamente, fece che la sua ipocrisia insieme ed eresia si fossero scoverte pei detti Padri Teatini . Fu dunque Suor Giulia di Napoli tradotta a Roma, dove vestita di Giallo, secondo il costume, abiurò pubblicamente i suoi errori nel 1615 e condannata e messa in carcere ne pagò la pena in tutta la sua vita”.

A questo punto, mi vien da osservare, inoltre, che  l’autore del manoscritto, nel trattare delle colpe di Giulia, si mantiene nel generico quando accenna, soltanto all’inizio e al termine, alla eresia; scende invece nel dettaglio quando parla di ipocrisia, carnale sozzura, fornicazione, immondizia meritoria, perdita di castità, sozzi ammaestramenti, carnale appetito, inganno e zizzania; dice che i Padri Teatini scopersero l’ipocrisia e l’eresia –non anche le altre mancanze– per giunta, soltanto dopo anni; allude al procedimento penale a carico della inquisita e alla pena, non anche all’ intervento della difesa, se ce ne fu alcuno, né alla sorte del De Vicaris.

Adesso, prima di concludere, sarebbe stato utile poter leggere altresì  qualche studio, con commento critico e imparziale, sugli atti del processo e sulla Istoria di suor Giulia De Marco, (5) opera –guarda caso– di un teatino, ma ignoto. Comunque, da quanto riferito nel citato documento cerretese deduco pure che, in rapporto all’originario stato sociale di suor Giulia Di Marco, la sua cultura rimase sempre limitata e perciò insufficiente a convincere, con certi mezzi,  non pochi suoi adepti di riguardo; il solo addebito che dall’inizio le venne mosso  attenne al di lei ordinario comportamento, semplice e tradizionale, però indotto, finalizzato al piacere di farsi “chiamar Madre per eccellenza” e “credere santa”; si pervenne alla diffamazione, al processo e alla condanna quando si valutò che perfino a Napoli, capitale del regno, la notorietà, la considerazione e la stima per la suora –non “i suoi errori” peccaminosi– avevano raggiunto un grado elevato al punto da poter arrecare danno –se si considerano vicende analoghe in quegli anni– (6) a qualcuno o a qualche pia congregazione o a qualche ordine religioso o alla stessa Chiesa.

__________

1- Cfr. Id., L’ Inquisizione era detta “Santa” …e a Caiazzo gli inquisiti  “furono torti e penitenziati”, in “Quattro passi nella storia”, Casertasera.it, 29-4-2018.  2- G. M. Rossi, In margine di una polemica nella Cerreto del ‘600, in Brevi note di Storia Cerretese, s. r., ma Casoria, l’Autore, 1988, pp.3-8.  Ringrazio la famiglia Rossi-Guarino di Cerreto, perché ha reso completo questo rimando bibliografico e per le copie in omaggio. 3- Cfr. V. Mazzacane, Memorie storiche di Cerreto Sannita, ivi, Telesina, 1911 – Napoli, Liguori, 1995, pp. 221-222 e nt. 21; R Pescitelli, Chiesa Telesina, Benevento, Auxiliatrix, 1977, p. 16 e nt. 41, p. 67 e nt. 136 e 137. 4- Cfr. pure V. Mazzacane, cit. 5- Conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. 6- Cfr. Silvana Menchi, Benincasa Orsola, in “Dizionario biografico”, Roma, Treccani, VIII (1966) alla voce.

 

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