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RUBRICHE- CIRCA 4.000 MORTI PER OVERDOSE IN ITALIA OGNI ANNO. MA CHI E’ IL TOSSICODIPENDENTE

|Antonio Cantelmo *| I decessi per morte immediata da supposto sovradosaggio di oppiacei per via iniettiva, comunemente definito overdose, raggiungono in Italia una cifra del tutto pesante di circa 3500/4000 l’anno (dati Istat). Tuttavia non è stato raggiunto, a tutt’oggi, nella letteratura corrente un sufficiente consenso sulle cause primarie e        secondarie che determinano la morte successiva a inoculazione endovenosa di eroina. Oggetto di altrettanti dibattiti sono gli aspetti psicologici; la letteratura, anche in questo caso abbondante ma del tutto generica, spazia dal suicidio inconscio alla dimostrazione di onnipotenza, senza riuscire a trovare un accordo, data la carenza di dati, la distorsione comunicativa del tossicodipendente, la reticenza dei familiari. Si può quindi affermare che il fenomeno dell’overdose sia ancora lontano da solide basi di comprensione. Tutti i tossicomani si illudono, all’inizio, di poter smettere in qualsiasi momento. Il passaggio dall’uso saltuario a quello abituale, e quindi alla dipendenza, è in genere inconsapevole, graduale e facile. Col tempo, tuttavia, l’aggravamento dei sintomi fisici, l’emersione di situazioni d’isolamento familiare, sociale e lavorativo, cui si aggiunge l’effetto ottundente e psicologicamente lesivo della droga, determinano nel soggetto un sentimento di odio-amore verso la sostanza, della quale però non può fare almeno. Se tenta di smettere sta male, ma ribucandosi avverte quanto sia stata inutile la breve ribellione. Egli è in preda ad un profondo conflitto, che investe una parte della sua sfera psicologica, regredita a quella delicata e ambivalente fase in cui il bambino sente nel contempo il bisogno della protezione materna e l’opposto bisogno di respingerla per sentirsi autonomo. La droga si incunea all’interno dell’irrisolto conflitto tornato a galla (difficilmente risolvibile perché colpisce un essere ormai adulto che non può materialmente tornare bambino), assumendo un doppio ruolo: diventa la madre e contemporaneamente lo strumento per autonomizzarsi da lei; lo stesso oggetto, la droga (e tutte le situazioni esistenziali ad esse correlate) si fa carico simbolicamente dei due bisogni contrastanti, generando nel soggetto un circolo vizioso che lo costringe ad un uso sempre maggiore di questo oggetto falsamente risolutorio. Infatti il bisogno di colmare i vuoti affettivi lo porta a ricorrere alla “madre droga” e il contrastante bisogno di autonomia lo spinge all’uso del “mezzo droga” , che seda le tensioni e lo illude di padroneggiare il mondo; in realtà gli conferma soltanto la sua situazione di dipendente. Il carattere del tossicofilo manca di una costante e ben definita specificità. Sono stati fatti molti tentativi per definire una personalità in linea con la tossicodipendenza, nella maggior parte dei quali mettendo a confronto individui tossicodipendenti e non. La conclusione della maggioranza delle ricerche è in verità alquanto generica, in quanto sostiene che gli individui tossicodipendenti presentano in linea di massima disturbi di personalità in eccesso rispetto a quelli riscontrati nella popolazione generale; si descrivono personalità insicure e passive, dipendenti e inibite, incapaci di autocontrollo, con scarsa capacità di tollerare ansia, frustrazione e dolore. Si possono, per sommi capi, distinguere tre tipi di personalità. Nel primo rientrano quelle persone che avevano una personalità per cosi dire predisposta alla tossicofilia, con una ricerca di gratificazioni ad ogni costo, con un’incapacità di tollerare conflitti e con una particolare sensibilità alle frustrazioni e che hanno quindi nella droga una, seppur inefficace, compensazione. Il secondo gruppo ha acquistato gli aspetti del primo con il progredire della tossicodipendenza, la droga in questo caso ha arrestato una normale maturazione psicologica, non consentendo un’armonica integrazione tra gli aspetti infantili e quelli adulti. Infine il terzo gruppo: la droga e il mondo nel quale essa trascina hanno colpito una personalità ben strutturata e con un patrimonio di rapporti e di affetti sufficientemente consolidati. Potremmo quindi concludere che nel primo caso, in una personalità precocemente lesa, indipendentemente dalla sostanza, questa ha successivamente assunto una funzione di “organo sostitutivo”, di pressoché indispensabile compenso.  Nel secondo caso, in cui la droga ha impedito una maturazione, essa si configura come un fattore distruttivo e invalidante. Infine nel terzo caso la droga ha determinato un congelamento grave, ma forse reversibile, di un’organizzazione psicologica che prima era in grado di funzionare correttamente. Questi tre tipi di personalità nel periodo tossicomanico possono apparire simili, per differenziarsi nel tempo, in seguito alla disintossicazione, in modo netto. In tal senso, non si può giudicare una vera e definitiva liberazione la sola astensione prolungata dalla droga, ma bisogna cercare di rafforzare la capacità di tollerare le frustrazioni, di rinviare i bisogni di soddisfazione immediata dei desideri, di modulare affetti contrastanti. Si considerano quindi “usciti male” coloro che hanno mantenuto alcune delle caratteristiche impulsive descritte.

*Dott. Antonio Cantelmo: Medico-Chirurgo, Specialista in Psicologia e Psicoterapia, Dirigente Medico UOC Medicina Generale e Pronto Soccorso ASL Caserta, Socio  della Società Italiana di Psichiatria – Pratella (CE) – 330/659140 – antonio.cantelmo@libero.it

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