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A NATALE LIBERI DI MANGIARE MA NELLA GIUSTA MISURA.SEI DOMANDE ALLO SCIENZIATO ANTONIO MALORNI

LORENZO APPLAUSO|Ogni anno puntualmente, ci chiediamo come mangiare durante le feste. Mangiare troppo fa male, mangiare male sarà ancora peggio come possiamo e dobbiamo regolarci? Tenuto conto che le feste di Natale prevedono una vigilia festosa la sera del 24, oppure un pranzo il giorno di Natale e un altro pranzo il giorno di Santo Stefano. Proseguendo ci rimettiamo a tavola per festeggiare l’ultimo dell’anno, il pranzo del primo, poi il giorno della Befana. Bene che vada, abbiamo festeggiato 5 ricorrenze che prevedono cene o pranzi decisamente festaioli ed abbondanti , allora cosa fare? Lo abbiamo chiesto al Prof Antonio Malorni scienziato del CNR

– Professore Malorni, le festività natalizie, come dicevo in apertura, sono ormai alle porte e, di fronte alle prelibatezze sulle nostre tavole, sono in molti, a preoccuparsi dei valori di colesterolo nel sangue, a chiedersi se possono lasciarsi un po’ andare a tavola. Certamente Natale non è Pasqua, quando il consumo di uova è decisamente più alto, ma il loro consumo, come il consumo di carni, latte e derivati del latte, è così deleterio per contenere nel giusto intervallo i valori di colesterolo?

  • “Vedo che questa domanda,- spiega il professore Malorni –  posta da un giornalista non estraneo al mondo sanitario, vuole far emergere i falsi miti che ancora permangono nel nostro sistema alimentare basato su assunti ormai scientificamente obsoleti. Tali assunti sono nati nel 1968 quando l’American Heart Association, sulla base delle conoscenze scientifiche del tempo, emanò una raccomandazione dietetica secondo la quale bisognava consumare meno di 300 mg di colesterolo alimentare al giorno e non più di tre uova intere a settimana. Questa raccomandazione influenzò in modo significativo, e vedo che continua ancora a farlo, i modelli dietetici occidentali, portando i consumatori a limitare anche il consumo di uova che sono una fonte importante e economicamente conveniente di proteine nobili e di nutrienti di alta qualità, tra cui la colina. Dopo circa mezzo secolo, oggi la maggior parte delle agenzie di promozione della salute in tutto il mondo ha ridotto quelle restrizioni di colesterolo alimentare e di uova e, dal 2015, quelle indicazioni del 1968 sono state eliminate anche dalle Linee guida dietetiche per gli americani, mentre permangono ancora nella nostra cultura bio-medica, ipnotizzata dalla salubrità della “Dieta mediterranea”.

–  È proprio così, professore, la mia domanda era un po’ provocatoria. Le avevo chiesto, infatti, questa intervista per portare un po’ di chiarezza su questi miti, ormai diventati falsi, nell’interesse della salute di tanti cittadini. Vogliamo iniziare proprio dal colesterolo e spiegare cos’è?

“ Il colesterolo è uno dei termini più usati negli ultimi anni in campo bio-medico, quasi sempre con accezione negativa. Invece si tratta di un composto chimico di grande importanza per il funzionamento dell’organismo umano, tant’è che esso ne produce autonomamente la maggior parte (80% circa), mentre solo la parte restante viene introdotta quotidianamente con la dieta. Sebbene ogni cellula del nostro corpo sia in grado di sintetizzare il colesterolo, di fatto il suo principale produttore resta il fegato, che riceve anche il colesterolo alimentare innescando un processo di feedback negativo. Cioè, se c’è un aumento dell’introduzione di colesterolo con l’alimentazione, si osserva l’inibizione della produzione endogena e viceversa, in modo tale che sia costante il livello di colesterolo nel sangue di soggetti normali purché adottino un sano stile di vita. Per queste persone, che costituiscono la maggioranza della popolazione, non c’è assolutamente nessun rischio nello sgarrare a tavola qualche volta.

  • Non crede, professore, che sarebbe il caso di spiegare in maniera molto sintetica quale sarebbe uno stile di vita sano?

“ Certamente. Nel nostro caso lo stile di vita è l’insieme dei comportamenti che caratterizzano un individuo e che riguardano principalmente la dieta, la sedentarietà (sovrappeso e/o obesità) e il fumo di sigaretta. Questi sono tutti comportamenti fortunatamente reversibili per cui in caso di necessità, avendo a cuore la propria salute, ciascuno può intervenire su di essi e modificarli in maniera opportuna. Per quanto riguarda la dieta, ho appena detto prima che gli alimenti di origine animale per quanto riguarda il colesterolo non sono un problema per il meccanismo di retro regolazione (feedback) che tende a mantenere costante il livello di colesterolo circolante. Ma nella dieta possono essere presenti altri tipi di sostanze lipidiche che contengono acidi grassi saturi che, assunti in maniera eccessiva, diventano un vero pericolo per la salute. Perciò, ad esempio, va eliminato o ridotto il consumo di carni rosse molto grasse e incentivato il consumo di carni bianche. Viceversa, i grassi mono e polinsaturi, di cui sono ricchi gli alimenti di origine vegetale e il pesce, soprattutto quello azzurro e il salmone, hanno un effetto protettivo sulla salute. Questi grassi particolari sono definiti essenziali perché il nostro corpo è incapace di produrli autonomamente e perciò devono essere obbligatoriamente assunti con la dieta. Particolare attenzione, poi bisogna fare per gli alimenti che contengono gli acidi grassi trans, tipici degli alimenti di origine industriale di pessima qualità. In un sano stile di vita la dieta, poi, deve fornire la quantità di calorie giuste in funzione dell’attività fisica che si svolge. Quando ciò non avviene, si va incontro prima al sovrappeso e poi all’obesità, che innescano una condizione patologica dalla quale è preferibile cercare di uscire, dismettendo abitudini sedentarie e alimentari sbagliate”.

– A questo punto ci dovrebbe spiegare perché questi grassi non essenziali assunti con la dieta possono diventare dei killer per la salute“ I grassi che introduciamo con la dieta rappresentano la fonte di energia delle cellule. Per questo motivo, una volta introdotti con l’alimentazione, digeriti e assorbiti dall’intestino, essi arrivano al fegato per essere trasformati e successivamente distribuiti in tutto il corpo attraverso il torrente sanguigno sia per la produzione di energia sia per essere depositati nelle cellule adipose come energia di riserva o per svolgere particolati funzioni biologiche. A partire dal grasso alimentare il fegato produce il colesterolo e i trigliceridi, due tipi diversi di lipidi, che vengono incorporati in strutture chiamate lipoproteine, il cui compito fondamentale è quello di trasportare i grassi nel plasma e di scambiarli con le cellule dell’organismo: il 95% circa dei lipidi plasmatici si trova nelle lipoproteine. Tra le lipoproteine plasmatiche abbiamo in particolare le lipoproteine a densità molto bassa (VLDL), le lipoproteine a bassa densità (LDL) e le lipoproteine ad alta densità (HDL). Le VLDL si occupano di trasportare i trigliceridi in tutto l’organismo mentre le LDL e HDL si occupano prevalentemente di trasportare il colesterolo ma con una grande differenza, le LDL lo portano ai tessuti mentre le HDL rimuovono il colesterolo in eccesso presente nel sangue per riportarlo al fegato. Tutto funziona a meraviglia fino a quando le LDL si trovano a trasportare più colesterolo di quanto sia necessario alle cellule periferiche. In questa evenienza le LDL depositano il grasso che trasportano sulle pareti dei vasi sanguigni dando luogo al processo complesso noto come aterosclerosi. Il colesterolo, che così viene depositato, provoca il restringimento dei vasi e ciò può condurre ad attacchi cardiaci e ictus. Ed è questo il motivo per cui il colesterolo-LDL è noto come “colesterolo cattivo” a differenza del colesterolo-HDL che viene definito come “colesterolo buono”. In base a ciò si è pensato per decenni che per essere in buona salute occorresse avere nel sangue livelli di colesterolo-LDL il più basso possibile e livelli di colesterolo-HDL il più alto possibile, adottando un adeguato regime dietetico che favorisse queste condizioni o intervenendo con farmaci, principalmente le statine. Ancora oggi può capitare che, facendoci le analisi del sangue, ci venga data una risposta nella quale alle voci colesterolo-LDL e colesterolo-HDL i valori di riferimento siano rispettivamente indicati come “minori di…” e “maggiori di…”. E, invece, questo mito del “colesterolo buono” è stato smentito lo scorso anno quando uno studio ha dimostrato che livelli di colesterolo HDL superiori a 60 mg/dl hanno un rischio di morte per una causa cardiovascolare o per infarto aumentato di quasi il 50% rispetto a quelli con livelli di colesterolo HDL compresi nell’intervallo 41-60 mg/dl. Quindi, il cosiddetto “colesterolo buono” buono non è perché se la sua concentrazione è inferiore a 40 mg/dl siamo esposti ai pericolo dell’aterosclerosi mentre se è più alto di 60 mg/dl siamo esposti ad un maggior rischio cardiovascolare rispetto a chi lo ha in concentrazione nell’intervallo 41-60 mg/dl. Questo studio pubblicato nel 2018 ha radicalmente cambiato il modo in cui dobbiamo guardare il colesterolo-HDL: non è più vero quello che tradizionalmente ci veniva detto, cioè che maggiore è il livello di colesterolo “buono”, meglio è, perché i risultati più recenti della ricerca ci dicono che non è più così”.

– Professore Malorni, come lei ha specificato prima, stiamo parlando sempre di soggetti normali. Ciò significa che ci sono anche dei soggetti non normali rispetto a questo tema che stiamo trattando?

“ Come si sa, oggi la medicina si avvia verso la strada della “medicina personalizzata” dal momento che, anche cercandole con la lampada di Diogene, non troveremmo nel mondo due persone eguali dal punto di vista fenotipico. Siamo tutti eguali come persone, o dovremmo esserlo, ma tutti differenti come pazienti per la medicina. Statisticamente parlando, circa una persona ogni 250 presenta un’alterazione genetica che causa la cosiddetta ipercolesterolemia familiare, che oggi rappresenta una condizione biologica di svantaggio, come lo è la microcitemia, mentre in tempi molto lontani non doveva esserlo, come non lo è la microcitemia che mette al riparo dalla malaria chi ne è portatore. In tempi lontani probabilmente le dure condizioni di lavoro fisico hanno selezionato una popolazione per la quale era un vantaggio questa differenza genetica che si riscontra più frequentemente a carico del gene che codifica per il recettore delle LDL, che ha il compito di “catturare” il colesterolo-LDL per rimuoverlo dal sangue. La maggior parte dei soggetti con ipercolesterolemia familiare ha ereditato un gene difettoso per il recettore delle LDL da uno dei genitori ed un gene normale dall’altro genitore ed in tal caso si parla di ipercolesterolemia familiare eterozigote. Si parla, invece, di ipercolesterolemia familiare omozigote quando un soggetto eredita il gene difettoso per il recettore delle LDL da entrambi i genitori. Questa è una forma di ipercolesterolemia molto più grave di quella eterozigote ma è fortunatamente molto rara e interessa circa un soggetto su un milione. Per questi soggetti omozigoti, completamente privi di recettori funzionanti, non esiste alcun trattamento dietetico o farmacologico in grado di ridurre efficacemente il livello di colesterolo estremamente elevato. In questi casi è necessaria la rimozione meccanica dal sangue del colesterolo-LDL utilizzando la metodica della LDL-aferesi, che è simile alla dialisi. Viceversa, per chi è portatore della ipercolesterolemia familiare eterozigote la cura migliore è quella di consumare la quantità eccessiva di lipidi con una attività fisica non intensa ma prolungata nel tempo, che è quella che brucia i grassi e non i carboidrati. L’attività migliore è quella della camminata a passo svelto in pianura, che va bene anche per le persone anziane. Bisogna camminare a passo svelto per almeno un’ora al giorno. Le camminate brevi non servono a nulla, solo a consumare zuccheri, perché il consumo di lipidi l’organismo lo attiva solo dopo una quindicina di minuti dall’inizio dello sforzo prolungato. Il numero a settimana e il tempo delle camminate a passo svelto, che dovrebbe farci percorrere almeno 6-7 Km in un’ora, dipendono dalla quantità di colesterolo-LDL e vanno verificate con il controllo delle analisi. Naturalmente la camminata a passo svelto va bene per tutti, anche per i soggetti sani che vogliono perdere un po’ di sovrappeso e contribuire con il moto al contenimento dei livelli di colesterolo e trigliceridi nei limiti di sicurezza. Poi ci sono altre forme di attività, come la bicicletta, purché lo sforzo fisico sia costante e prolungato nel tempo. Insomma dobbiamo considerare il nostro corpo come un motore che alimenta un gruppo elettrogeno, sempre allo stesso numero di giri, e non un motore da auto, specie se da corsa, come in molti cercano di fare nel loro impegno con lo jogging”.

  • Allora, professore, per concludere questa intervista, mi pare di aver capito che non ci sono indicazioni dietetiche specifiche per limitarne i livelli di lipidi nel sangue e, di conseguenza, possiamo rivalutare anche il consumo di uova, ancora oggi messe al bando come alimento a se stante ma che poi ne mangiamo in grande quantità con i dolci.

“ È proprio così, non c’è nessun alimento da privilegiare e nessuno da eliminare ma tutti da consumare in maniera molto variata nel giusto periodo dell’anno, rispettando la stagionalità, e nella giusta quantità. Non c’è nulla che sia salubre o insalubre in se stesso, ma tutto dipende dalla quantità. È un concetto, questo, che risale al ‘500 e fu enunciato da Paracelso, il quale sentenziò che tutto è dannoso se assunto in quantità eccessiva e per ogni cosa c’è una dose che separa gli effetti benefici da quelli avversi. Questo principio non vale solo in farmacologia, dove i farmaci devono essere assunti nelle quantità indicate e non superiore, ma vale soprattutto nell’alimentazione: ciò che sembra sempre benefico può avere effetti avversi se consumato in piccola o in grande quantità. L’esempio più immediato è l’acqua: se ne beviamo poca abbiamo problemi di disidratazione con segni di debolezza, affaticamento generale, ansia, difficoltà di concentrazione e danni al sistema immunitario, mentre se ne consumiamo in eccesso possiamo avere disturbi anche seri per le variazioni di elettroliti nel sangue o addirittura, fino alla morte, per emolisi dei globuli rossi. Perciò in campo alimentare sono state definite le porzioni, che rappresentano la giusta quantità di cibo oltre le quali il cibo stesso diventa un veleno. Come ho già detto prima la quantità di alimenti giornalieri non devono mai eccedere il fabbisogno calorico giornaliero, cioè la quantità di calorie che quotidianamente un soggetto deve assumere per far fronte sia alle “funzioni metaboliche basali” (metabolismo basale) sia alle attività fisiche svolte (muoversi, salire le scale, giocare a tennis, ecc.). Se le calorie introdotte sono le stesse delle calorie spese, il bilancio calorico del soggetto è in equilibrio; se le calorie introdotte sono maggiori di quelle consumate, il soggetto accumula calorie, cioè ingrassa; se invece le calorie introdotte sono minori di quelle consumate, il soggetto perde energia, cioè dimagrisce. Questo, credo, sia noto a tutti. Ora, il fabbisogno calorico giornaliero deve essere soddisfatto dalle tre classi di macronutrienti: i carboidrati devono coprire circa il 60% di tale fabbisogno, le proteine circa il 15% e i lipidi circa il 25%. Ma con quale criterio scegliere i carboidrati, le proteine e i lipidi? Per i lipidi abbiamo visto che ci sono differenze e che i grassi saturi vanno ridotti al minimo e vanno privilegiato i grassi insaturi. Anche per i carboidrati bisogna privilegiare quelli complessi e integrali limitando quelli raffinati. Infine, per le proteine ho già accennato che vanno limitate le carni rosse, orientandosi verso le carni bianche, il pesce, le proteine vegetali (legumi) e, naturalmente uova che, come avevo detto prima, per mezzo secolo sono state ritenute pericolose per il contenuto di colesterolo nel tuorlo tanto da ridurne il consumo a tre alla settimana. Ora questa limitazione di una fonte importante di proteine nobili e di sostanze benefiche di varia natura è stata molto pesante per quei paesi dove le uova fanno parte della colazione mattutina, che uno dei due pasti principali della giornata. Già nel 2013 uno studio aveva dimostrato che un alto consumo di uova, fino a uno al giorno, non presentava un aumento di rischio di patologie coronariche e ictus. Nel 2017 un successivo studio ha dimostrato come il consumo di tre uova al giorno per dodici settimane non aumentata il rischio cardiovascolare in pazienti con la sindrome metabolica. Poche settimane fa è stato pubblicato uno studio finlandese il cui scopo era quello di studiare le associazioni delle assunzioni di uova e colesterolo con il rischio di ictus e con il principale fattore di rischio di ictus, la pressione sanguigna, negli uomini di mezza età e anziani della Finlandia orientale e se il fenotipo apoE dell’Apolipoproteina E (ApoE), anch’essa una lipoproteina per il trasporto dei lipidi nel sangue, potesse modificare queste associazioni. L’interesse di questo studio per il fenotipo apoE deriva dal fatto che in Finlandia circa un terzo della popolazione è portatore dell’allele e4 e il fenotipo apoE4 è associato a un più alto rischio di malattie cardiovascolari e ictus dal momento che  chi è abituato ad una dieta ricca di grassi saturi, come i finlandesi, ha una maggiore probabilità di avere livelli elevati di colesterolo-LDL e di trigliceridi. Inoltre, i portatori di apoE4 hanno la minima risposta alla terapia con statine in termini di riduzione di trigliceridi e aumento di colesterolo-HDL. Ebbene, questo studio ha dimostrato come né l’assunzione di uova fino a quattro al giorno né di colesterolo in generale sono associate ad un aumento del rischio cardiovascolare e di ictus, indipendentemente dal fenotipo apoE. Anzi si è osservato un effetto benefico sulla pressione arteriosa ed è stato ipotizzato che un possibile meccanismo per questo effetto potrebbe essere costituito dai peptidi dell’ovotransferrina dell’albume che funzionano in modo simile ai farmaci antiipertensivi ACE-inibitori, prevenendo il rimodellamento della muscolatura liscia vascolare mediante l’inibizione dei recettori dell’angiotensina di tipo 1. Questo dato, quindi, riapre le porte al largo consumo delle uova, valido sostituto nell’alimentazione della carne di ogni genere e di altre fonti di proteine anche vegetali, specie nell’alimentazione dei bambini e degli anziani e, speriamo, anche valido sostituto dei farmaci antiipertensivi negli anziani”.

*Prof. Antonio Malorni Ex Dirigente di Ricerca. Istituto di Scienze dell’ Alimentazione – CNR di  Avellino

 

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Iscritto all'ordine nazionale dei giornalisti, già direttore e fondatore della testata giornalistica italianews24.net e attualmente alla direzione di Casertasera.it. Collaboratore di numerose testate nazionali e locali.

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