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CINEMA, “LA MORTE A VENEZIA” UN CAPOLAVORO DEL CINEMA ITALIANO

Mela Boev|Da qualche giorno penso ad un romanzo straordinario, poco più di cento pagine che diventarono poi un capolavoro del cinema italiano : “La Morte a Venezia”.Ho aspettato tantissimo per leggere questo libro, nonostante T. Mann sia in assoluto il mio scrittore preferito, in effetti l’ho letto solo l’annoscorso.In questo romanzo breve c’e’ una cosa che mi ha colpito moltissimo: Il colera arriva nell’arcipelago veneziano, e all’inizio si prendono blandemisure preventive (disinfestazione), affiancate al tipico scetticismo italiano (tradotto in veneto “so tuto mi”). Finche’ si arriva al giro di boa: La città viene chiusa. Quarantena, si dice, chiusa, come nel medioevo sapete, quando alzavano il ponte levatoio. Leggendo questa cosa fui colpita in maniera profonda: ah certo, per evitare che il contagio si diffonda…ma allora…tutti chiusi dentro…oddio..ah ma erano altri tempi..bhè non cosi lontani..in fondo, la storia si svolge nello scorso secolo…Ora, questo romanzo e’ molto, molto, molto di più che un dettaglio tecnico. Leggerlo potrebbe farvi guardare a cio’ che sta accadendo con occhi diversi: quelli trasparenti del veggente.Luchino Visconti nel fa appunto un miracoloso film nel 1971, chiamando con sé la meravigliosa Silvana Mangano nel ruolo della dama polacca. Il set e’ proprio la città lagunare, ma il protagonista, che nel del romanzo e’ un rinomato scrittore germano, nel film si trasforma nella figura del compositore.La chiave di lettura e’ tutta, chiaramente, nel dialogo iniziale, quello tra il suddetto musicista e il suo amico artista. I due si scontrano, verbalmente, come solo i grandi spiriti possono fare, a causa delle loro vedute opposte: una sensuale e anarchica, l’altra razionale e idealista.Da questo conflitto, che non ha vincitori forse, da questa tensione chiamiamola che ogni tanto si sbilancia verticalmente verso il caos, il protagonista vede aprirsi una nuova vita, una nuova sensibilità verso il mondo. Senza più controllo, ecco che trova ciò che teneva nascosto dietro l’immagine che voleva dare di sè.Trovo utile dire, per chi fosse a digiuno, che Visconti in questo film ha “inventato” un’immagine di Venezia. L’ha diciamo codificata. Ho vissuto a Venezia due anni intensi, e conosco bene quella luce pastello, a volte opaca, a volte cristallina, indimenticabile. Ecco, Il regista ha usato la città per imprimere nella memoria visiva una paletta di colori persempre: l’azzurro, il bianco, il nero.Si dice che per disegnare la figura del protagonista Visconti si sia ispirato al compositore tedesco Mahler.  La musica qui e’ importantissima, non solo perché parte della storia, ma perché simbolo stesso di questa energia vitale che va oltre la morte, che ha il potere di entrare nel sangue come un influsso dominatore, che fa dello stesso nostro spirito qualcosa di rinnovato. La musica agisce come una malattia. La musica e’ potente medicina. Il protagonista da vecchio ritorna giovane, da vulnerabile, invincibile.Ci fosse una musica, che con la sua vibrazione potesse agire su di noi in questo momento, per trasformare questo pericolo in un vero pericolo per l’anima di fronte a sé stessa: la trasformazione, una nuova primavera! Consiglio questo film, ora.

Ps: una curiosità durante la grande Peste del ’630, Venezia si salvò chiudendo le porte e lasciando uscire dalle carceri i galeotti, che in cambio della libertà acquisita dovevano fare il lavoro socialmente utile del “tenere pulita” la città.

 

 

 

 

 

 

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