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IPERTIROIDISMO E NEUTROPENIA, L’INIZIO IN SICUREZZA DELLA TERAPIA CON ANTITIROIDEI. META-ANALISI ITALIANA

ARTURO ZENORINI| La neutropenia (condizione che di per sé già predispone alle infezioni batteriche e fungine) può essere un segno di ipertiroidismo di nuova insorgenza e la decisione dell’inizio della terapia con farmaci antitiroidei in questi pazienti può rappresentare un problema clinico. Di questo tema si è occupato di recente un team di ricercatori guidati da Lorenzo Scappaticcio (nella foto) , della UOC di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo – diretta da Dario Giugliano – dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli. «Le attuali linee guida dell’ATA» ricorda Scappaticcio «raccomandano di valutare l’emocromo e, in particolare, la conta dei globuli bianchi prima di iniziare un trattamento con antitiroidei in quanto questi farmaci (carbimazolo, metimazolo, propiltiouracile) potenzialmente tossici per il midollo osseo hanno un rischio dello 0.1-0.3% di dare agranulocitosi (cioè una neutropenia severa) con una conta dei globuli bianchi al di sotto di 500/mm3». Nella pratica clinica, prosegue l’endocrinologo, attenzione deve essere posta soprattutto quando si ha il riscontro, prima di iniziare il trattamento, di valori di globuli bianchi al di sotto della norma, in particolare ad una conta dei neutrofili inferiore a 1800/mm3. In questi casi le linee guida dicono che si può iniziare il trattamento con farmaci antitiroidei se il valore dei neutrofili è superiore a 1000/mm3; in caso contrario occorre riconsiderare la modalità del trattamento farmacologico. Obiettivo dello studio di Scappaticcio e colleghi è stato duplice: valutare la prevalenza dei neutropenici tra gli ipertiroidei e verificare la probabilità che la neutropenia associata all’ipertiroidismo vada incontro a remissione dopo aver iniziato il farmaco, andando a ripristinare l’eutiroidismo. «È stata fatta una revisione sistematica della letteratura su PubMed e Scopus ricercando tutti i lavori originali che riportavano al baseline i valori di neutrofili in pazienti con ipertiroidismo di nuova diagnosi – che non avevano mai ricevuto trattamento di tipo farmacologico, radioterapico o chirurgico – a prescindere dalla causa dell’ipertiroidismo stesso e che apparentemente non avevano altri fattori di rischio» riprende Scappaticcio. Dalla ricerca sono emersi 1880 studi dei quali 13 sono stati inclusi nella revisione sistematica e meta-analisi. «Applicando il modello ad effetti casuali si sono ottenute prevalenze sia dei neutropenici tra i pazienti ipertiroidei sia della risposta al trattamento con antitiroidei relativamente alla normalizzazione dei neutrofili». Dalla meta-analisi è emerso che al baseline circa il 10% dei pazienti ipertiroidei con malattia di Graves di nuova diagnosi e non trattati sono neutropenici. «Questi pazienti hanno di base un ipertiroidismo più spiccato, quindi con frazioni libere fT4 ma anche fT3 decisamente più alte rispetto alle altre forme di ipertiroidismo e tireotossicosi e quindi maggiore probabilità di tossicità midollare» spiega il ricercatore. «Un’altra possibilità è che i pazienti con morbo di Basedow, caratterizzati dalla positività ad autoanticorpi anti-recettore del TSH, presentino i recettori di tali anticorpi anche sui globuli bianchi ; verosimilmente gli anticorpi stimolanti la tiroide possono agire anche sui globuli bianchi favorendo una loro degenerazione ed una neutropenia su base autoimmunitaria. Un terzo meccanismo prevederebbe che questi neutrofili nei pazienti ipertiroidei si espongano alla periferia del vaso e di conseguenza non vengano rilevati al prelievo ematico». Questi risultati vanno a supportare le raccomandazioni dell’ATA, sottolinea Scappaticcio. «Ad oggi, infatti, se si leggono i riferimenti delle raccomandazioni delle linee guida ATA del 2016 su questo tema si nota che si basano su evidenze scarse, vecchie banche dati o studi di piccole dimensioni. La meta-analisi conferma che nel paziente ipertiroideo con neutropenia al di sotto di 1000/mm3 non si hanno dati per supportare la terapia con antitiroidei. Se invece il numero di neutrofili è tra 1000-1800/mm3 si può iniziare la terapia antitiroidea perché non c’è il rischio di ulteriore riduzione dei neutrofili ma in più – e questo è l’aspetto più innovativo dello studio – si ha la possibilità di ripristinare anche il numero di neutrofili, a livelli superiori a 1800-2000/mm3 in associazione con il raggiungimento dell’eutiroidismo (con una probabilità dell’80% nella neutropenia lieve)». Questo lavoro ha suscitato interesse negli estensori delle linee guida ATA tanto che è stato recensito su “Clinical Thyroidology”: una conferma importante del supporto alle attuali linee guida a dati già noti ma ora per la prima volta dimostrati.

  • Articolo integrale pubblicato per gentile concessione di “Endocrinologia33”

 

 

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