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PIGNATARO MAGGIORE, ECCO LE RECENSIONI SU ALCUNE PUBBLICAZIONI DEL PROF. DEL VECCHIO

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Alessandro Bonafiglia|Pignataro Maggiore. Riceviamo e riportiamo delle meravigliose recensioni su alcune pubblicazioni di un noto e gradito professore pignatarese, Franco Del Vecchio (nella foto), funzionario al Provveditorato di Caserta, appassionato di poesia e scrittura. Eccole :

Alla fine…Io/Viaggio in versi (a cura di Teresa Perillo)

Franco Del Vecchio nella raccolta poetica intitolata “Alla fine…Io” è riuscito a liberare la sua travolgente sensibilità velandola inizialmente di un tocco di malinconia: si è così assunto il rischio di essere compreso da pochi, principalmente perché quando intraprendiamo un viaggio dentro noi stessi non possiamo programmare nulla a priori, dal momento che non si sa mai quanti passi si riusciranno a fare andando incontro alle proprie paure, oppure nell’attraversare le proprie debolezze può succedere esattamente l’opposto, ossia non si riesce più a fermarsi, per cui si desidera solo esplorare, scendere in profondità dato che non si teme più il raffronto con la dimensione spazio-temporale. Del Vecchio nel corso dei suoi componimenti resta fedele al progetto di essere se stesso,infatti, nonostante tutto cambi, per lui è fondamentale tornare e/o ripartire dalla sua terra natia per ritrovare certezze e punti di riferimento che la vita contemporanea smarrisce in continuazione. In questo modo, il verso risente delle vivide sensazioni che si percepiscono all’aria aperta, passeggiando tra i vicoli, apprezzando pure il silenzio che regna in determinate ore, in altre parole, perdendosi nella bellezza delle amate colline. Tuttavia, la vita ha voluto che Franco del Vecchio si calasse spesso nel ruolo del combattente che non si è mai fatto trovare alla sprovvista di fronte tutti gli ostacoli che gli si sono presentati dinanzi. Anche se, è lui stesso ad ammettere che per vincere la battaglia più ardua si è dovuto alleare con se stesso. In altre circostanze, invece, l’allusione alla metamorfosi in un predatore ha reso efficacemente l’idea di potersi difendere solo facendo prevalere il lato più istintivo e irrazionale del proprio carattere.

C’è campo…nella natura!/Simbiosi uomo-natura (a cura di Teresa Perillo)

La poesia di Franco Del Vecchio, nella seconda raccolta dell’autore, si prefigura come che unendo l’uomo e la natura, incarna l’assoluto. È un compito arduo quello di racchiudere in un verso la bellezza incomparabile della natura perché il suo linguaggio risulta incomprensibile alla ragione. Se vogliamo ritrovare noi stessi, è nella natura che possiamo andare alla ricerca delle nostre origini, infatti da lei apprendiamo molto di più rispetto ai libri, dal momento che «è impotente la nostra sapienza in confronto alla sua semplicità».Del Vecchio passa dalla delicatezza e pacatezza del verso alla ruvidità e all’asprezza dei toni della denuncia manifestando il suo dissenso nei confronti di chi ha deturpato la bellezza della sua terra, sversando continuamente rifiuti. Dovremmo fare nostro il suo grido di battaglia, quando afferma che «gli avi ci hanno insegnato che il suolo è sacro, e noi lo difenderemo contro ogni massacro». Per non parlare della grande carica emotiva che ci viene trasferita dall’immagine dell’aurora che preannuncia per l’Io lirico un nuovo giorno pieno di speranza: si resta estasiati dalla danza che compiono in volo le api, le vespe ed altri insetti, il falco, le rondini e i merli. L’estinzione dell’arancio dai frutti amari detto “cetrangolo” ci fa provare una dolorosa fitta al cuore, dato che le nuove generazioni ne ignorano completamente l’esistenza… Campi, valli, colline sono stati spazzati via dal cemento, lo stesso destino è toccato purtroppo agli ulivi selvatici, alle more e alle zagare, però di queste ultime l’autore ne rappresenta «il sacro custode». Stupende anche le immagini di chiusura della raccolta, in cui le stagioni così come le fasi della vita ci rammendano che una tempesta non può durare per sempre, pertanto i momenti difficili sono superabili mediante la vista confortante degli elementi naturali. É possibile ripristinare la bellezza dei luoghi che ci risultano più cari, nonostante la dura fatica che deve sobbarcarsi chi deve contrastare, in primis lo scetticismo generale. «Chi vive in armonia con la natura colmerà quella radura […] dopo la distruzione arriva la restaurazione»

La vita in un vicolo (a cura di Teresa Perillo)

Franco Del Vecchio nel suo libro edito nel 2021 traccia una biografia del vicolo in cui è nato e cresciuto sito in Via Mannesi anche noto come “il Vicolo dell’arco” presso Pignataro Maggiore in provincia di Caserta. L’autore pignatarese, tuttora fortemente legato al suo paese d’origine, coinvolge il lettore nella narrazione dei tantissimi ricordi dell’infanzia e della giovinezza al punto da farlo sentire a suo agio nel rievocare le memorie familiari e del vicinato. Infatti, ha un indelebile ricordo di quando era proprio un ragazzino, relativo alla processione dell’Addolorata, che si teneva la prima domenica del mese di Ottobre; Del Vecchio ci immerge totalmente nell’atmosfera festiva che avvolgeva non solo il vicolo ma tutto il paese. Ogni festa religiosa, questa in particolare, era caratterizzata dalla preparazione di cibi e vivande che non eguagliavano neppure l’abbondante pranzo natalizio e/o pasquale. Donne, uomini e bambini si dividevano i compiti in vista della buona riuscita dell’evento. Per restare in tema di ricorrenze religiose, ad esempio nel periodo natalizio echeggiava nei vicoli il suono delle zampogne e delle ciaramelle, nelle case venivano allestiti i presepi della tradizione napoletana settecentesca e si organizzavano frequenti tombolate come principale attività di intrattenimento. Il periodo estivo teneva occupati tutti gli abitanti del vicolo nei mesi di Luglio ed Agosto per la preparazione delle conserve di pomodoro e per la produzione di confetture di pesche. Del Vecchio descrive in maniera dettagliata l’intera catena di montaggio di quest’antesignana industria conserviera, impiegando termini vernacolari per richiamare all’attenzione del lettore moderno e più giovane l’esatta nomenclatura in dialetto napoletano dei piatti tipici locali. L’autore al di là delle circostanze liete e non, vissute nel vicolo, purtroppo, ribadisce la totale scomparsa della sua cultura comunitaria alla cui base c’era una solidarietà intergenerazionale d’altri tempi. Si pensi che nei confronti del vicinato si deteneva il medesimo rispetto che si ha esclusivamente verso gli affetti più cari,mentre, durante il lavoro c’era un diffuso spirito di sacrificio e di altruismo forse perché come afferma lo stesso autore, ci si accontentava di poco e si era felici di condividerlo con tutti. Il collante dei rapporti interpersonali, insomma era l’amore verso il prossimo,un vero e proprio sconosciuto oggi, nell’attuale società individualista e narcisista.

 

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