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S. FERDINANDO VESCOVO DI CAIAZZO. ALTRI RIFERIMENTI PRELIMINARI

 

Rosario DI LELLO|Come già accennato in un precedente articolo, (1) anche questo è sintetica nota preliminare di una prossima pubblicazione che, corredata dai concernenti rimandi bibliografici, tratta, in cinque parti, di San Ferdinando vescovo di Caiazzo nella storia della medicina campana. Dopo averne detto, perciò, di identità, vita e causa della morte, si passa, qui di seguito, a taumaturgia e a dulia.

Al riguardo, mi viene subito in mente, che taumaturgo è chi, santo o guaritore, compie operazioni miracolose e che delle facoltà prodigiose di san Ferdinando s’è fatto da più parti riferimento. Già prima del lontano 1740 è stato tramandato che il “Divino Ferdinando”, tra le altre cose, tanto in vita quanto dopo morto, avesse l’autorità di guarire, più di tutte, le malattie con febbre. E non è tutto: nel suo antico Ufficio si trovavano molti responsori nei quali veniva supplicato, con devote preghiere, di liberare gli “Infermi dal gravame pernicioso delle urenti febbri”, di dare “ai Ciechi  la luce”, di mettere “in fuga i Demoni” e  di tributare “la salute della mente e del corpo”.

Per quanto concerne le malattie con febbre, questa definizione riguarda soprattutto le menzionate patologie infettive (2) e il termine infermi può essere interpretato e come malati e come convalescenti e deboli a causa, appunto, di forme debilitanti. L’illuminare i ciechi, oltre che come scongiurare la cecità o dare la vista a chi non vede, cioè in senso stretto,  può essere inteso anche, sulla base del Vecchio e del Nuovo Testamento, come dare la Luce a chi non crede. La salute della mente allude alla integrità della stessa, alterata da forme morbose quali, secondo la medicina medievale, la melancolia: pessimo umore, tristezza, timidezza, instabilità mentale; la mania: iracondia; la demenza: frenesia, follia, confusione mentale, insania per cui il malato vede finanche il diavolo, è  atterrito, perde i sensi, cade ed emette voci innaturali.

Alcune di queste e altre manifestazioni chiamano in causa, per certi aspetti, la possessione diabolica, perciò,  il mettere in fuga i demoni è, appunto, il “libera nos a malo” nel significato di preservare o, più propriamente, liberare l’uomo dal diavolo che lo possiede, nonché allontanare il male dal territorio o dagli animali; senza entrare nel merito, si dirà soltanto che certe manifestazioni patologiche sono ritenute proprie della possessione demoniaca, quando v’è “concomitanza di almeno un certo numero” di esse.

Ancora nell’ultimo trentennio del Medioevo, veniva richiamata l’attenzione sul “glorificato Corpo di San Fedinando d’Aragona insigne per innumeri e celeberrimi miracoli” e, inoltre, su miracoli evidentissimi e comprovati da  testimoni assai degni di fede”.

Nel 1613 –siamo ormai nel primo quarto dell’Età Moderna– san Ferdinando veniva ricordato: “famoso per molti miracoli sui malati”.

Negli anni Ottanta del secolo scorso, è stato altresì scritto che, quando da pellegrino giunse sulle colline intorno Caiazzo, dormiva sulle pietre e proseguiva nell’ opera di guaritore sicché contadini e pastori ricorrevano a lui, chiamandolo per nome, “ma nessuno sapeva esattamente chi fosse”. Ancora oggi, la gente del territorio invoca e definisce “Santo Fedinando nostro  protettore, certissimo, benignissimo”  e “nostro protettore bello”.Insomma, non pochi, nei secoli, ne hanno menzionato le virtù taumaturgiche contro cecità, demonio, debolezza e pestifero male, nonché il “patrocinio di lui contro le febbri ed altri generi di malattie”; ma verso quali altri generi di malattie abbia operato non è dato sapere nel dettaglio; infatti, allo stato della ricerca, la mancanza di fonti, di un cospicuo numero di ex voto particolari nelle varie parrocchie e di riferimenti a memoria d’uomo non consente neppure una ipotesi su generiche forme di ordine medico o chirurgico.

Sempre in merito al rapporto con la medicina e, più nello specifico, con la storia della medicina, anche popolare, non sembra inopportuno porre in rilievo altri aspetti del tema. San Ferdinando può essere enumerato tra i così detti taumaturghi non medici, ma attivi nella medicina e generici, ossia contro le malattie in genere, nonché tra i protettori da patologie, nel particolare, infettive.

Egli può essere incluso tra le persone denominate guaritrici per carica, in quanto sacerdote e per giunta vescovo, nonché per arcani poteri, messi in pratica già “dall’adolescenza sua”.

Può essere annoverato fra i taumaturghi che prevengono, allontanano o guariscono patologie diverse e d’elezione quelle che loro stessi hanno subito: nel caso in questione, una malattia accompagnata da improvvisa febbre pestifera, urente, di breve durata e foriera di morte.Anche se spagnolo di famiglia e di nascita, può essere considerato fra i taumaturghi appellati “locali” –della Chiesa caiatina– in quanto visse, operò e, per giunta, mori e fu sepolto nella diocesi di Caiazzo.

Da ultimo v’è da dire che mentre per la Chiesa i santi taumaturghi rappresentano –con la loro intercessione– il mezzo attraverso il quale l’uomo eleva la propria fede a Dio, per il popolo non sempre è così, perché il devoto, solitamente, reputa il santo “agente diretto del bene che gli viene chiesto”; non solo: i santi, avendo patito, in genere, lo stesso male a causa del quale l’infermo ricorre loro, vengono ritenuti dalla gente più vicini e perciò in linea più diretta interessati alla sua sofferenza; e tanto si evince in cospicua misura, per san Ferdinando, anche dalle parole delle menzionate implorazioni.

Per quanto attiene alla dulia, sembra opportuno riandare – a prescindere dalle grazie ricevute – a due singolari aspetti. Un evento tragico, ovvero la peste del 1656, dimezzò la popolazione nel mezzogiorno d’Italia; tranne in Puglia, si moriva in tutto il Regno di Napoli e l’epidemia mieté vittime pure in diocesi di Caiazzo. Si racconta che nei sabati di Quaresima del ’56, gli abitanti di Alvignano e di Dragoni si portavano, in processione, a pregare sulla tomba del Santo e che il tempio a Lui intitolato si vide inondato di luce, nottetempo e per tutta la durata del contagio. La causa? Direi, una frequentazione assidua e numerosa di devoti e no, espressione di una più intensa e globale venerazione.  Inoltre, ferme restando la storicità, la legittimità e l’autenticità della devozione in onore di san Ferdinando, dirò che talune componenti mi pare –ed è logico, in pratica– richiamino alla mente, circa luoghi di culto, toponimi, giorni, mesi, finalità e svolgimento, residui pagani delle celebrazioni propiziatrici a gloria di alcune divinità.

Purtuttavia, va messo in rilievo che le molteplici espressioni dell’attuale, notevole e vivace dulia è, in vero, indice di tradizione, ma è, ancora una volta, inconfutabile testimonianza della presenza costante e vigile del Protettore, nonché del conseguente, profondo rispetto e dell’inesauribile, riconoscente, sincero amore di popolo per san Ferdinando.

__________

1- Cfr. Rosario Di Lello, San Ferdinando vescovo di Caiazzo, in riferimenti preliminari, in “Quattro passi nella storia”, Casertasera.it, 23-7-2018. 2- Cfr. Id., ibid.

 

 

 

 

 

 

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