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RUBRICHE- NEL CONSIDERARE IL CULTO TRADIZIONALE ED UNA STATUA SINGOLARE DELLA MADONNA IN DIOCESI DI ALIFE-CAIAZZO

ROSARIO DI LELLO|In un recente articolo ho fatto riferimento alla religiosità dei Sanniti nell’Evo Antico (1) e tanto mi ha indotto a riflettere su un altro argomento,  a scriverne allo stato della ricerca  e, per meglio illustrare quanto attiene nel dettaglio al tema, non per l’esperto, è chiaro, a premettere di volta in volta qualche richiamo in  generale.

.Ebbene, quel popolo idolatrava statue della Dea-madre –Mater Matuta ?– assisa e con in grembo uno o più neonati in fasce; adorava anche  Kerres –Cerere ?– e dee con nome diverso, ma accomunate dall’ appellativo cerealis che indica una funzione analoga a quella di Kerres, ossia di generatrice e protettrice della vita e della vegetazione; credeva, è probabile, nella dea Terra, come si deduce dalle pitture tombali di melagrane simbolo di fertilità e resurrezione (2); onorava le divinità agresti e ne considerava alcune in rapporto sincretico tra loro (3). Altre differenti usanze al riguardo raggiunsero la regione con la cultura greca e con la dominazione romana come, tra l’altro, prova, in Campania, a PosidoniaPaestum, una terracotta che, del V secolo a. C., e forse portatavi dai colonizzatori, effigia Hera Argiva in trono e con una melagrana nella mano destra.

Nel particolare e come documentano reperti archeologici, gli abitanti dell’Alifano veneravano Cerere, dea della fecondità dei campi –e, per questo, la identificarono con le greche Demetra, divinità della terra feconda e della coltivazione, e Cibele-Rea, l’una e l’altra confuse con Gea, la dea della Terra–; Giunone o Lucina, dea della luce, vergine protettrice della vita coniugale; Iside, dea egizia della natura, della fecondità e madre di tutte le cose (4). Va ricordato pure che nella statuetta di Iside, rinvenuta tra le rovine di Alife, “il più bell’ornamento […] è un triplice ordine di mammelle, che la cinge a mezza vita, le quali significano la sua maternità e l’ufficio di nutrire colle sue grazie i suoi fedeli adoratori” (5). Per inciso dirò che l’arte sacra, in larga misura la scultorea egizia, ha evidenziato Iside che, dea della fertilità, seduta regge in grembo con un  braccio un bambino, il figlio, e con l’altra mano gli offre il seno da suggere.

Senonché, ad un certo punto della storia l’avvento del cristianesimo disperse i culti pagani, ma qualcosa rimarrà, anche nella iconografia, tanto è vero che, ad esempio, si manifesteranno, per sincretismo, analogie tra Iuno Lucina, Flora Mater e altre dee, come la Mater Matuta, con Maria madre del Cristo; anzi la Vergine, finirà per essere mostrata, “al pari di certi simulacri gentili, assisa in trono” o stante, “e a sostenere con una mano il pargolo e con l’altra una melagrana simbolo del seno materno e di fertilità” (6), o il proprio seno.

Nella scultura e nella pittura del Medioevo e dell’Età Moderna sono numerosi, un po’ dovunque, gli esempi di Madonna della Melagrana, come, prescindendo dai titoli originali e per ragioni pratiche, genericamente intendo le immagini della Vergine che regge il pargolo da un lato e nell’altra mano tiene il frutto. Vanno menzionate  la statua lignea, del ‘300, nel santuario della Madonna del Granato, a CapaccioPaestum; la scultura in marmo bianco di Jacopo della Quercia –1374 ca-1438– nel Museo della Cattedrale a Ferrara; il dipinto di Sandro Botticelli –1445-1510– nella Galleria degli Uffizi; l’altro, del Pinturicchio –1452-1513– nella Pinacoteca Nazionale di Siena. Nelle opere  sopra citate e in  altre prese in esame, il frutto in una mano della Vergine si presenta o intero o scortecciato appena o mancante di qualche piccola parte.

Numerosi risultano pure i prototipi di Madonna che allatta il Bambino, come intendo le raffigurazioni della Vergine con in una mano non più la melagrana ma il proprio seno, nell’atto di porgerlo al neonato Gesù che le sta in grembo. Di capolavori del genere, rammento quello di Ambrogio Lorenzetti –1286-1348– nel Seminario di Siena; di Sandro Botticelli –1445-1510– nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano; di Lorenzo di Credi –1459-1537– nel Museo di Capodimonte a Napoli; di Michelangelo Buonarroti –1475-1564– in casa Buonarroti a Firenze; di Lorenzo Lotto –1480-1556– nel Museo Correr di Venezia; di Gianni Pietrino –1515-1540– nella Galleria Borghese a Roma; di Girolamo Siciolante –1521-1580– nella Galleria Nazionale di Parma.

A questo punto, il conoscere quale dei due generi abbia preceduto l’altro ne chiarirebbe il perché e darebbe nuove informazioni in merito.

Ad ogni modo, entrando ancora una volta nello specifico e dopo aver messo in rilievo che nel 1986 la Diocesi di Alife è stata fusa a quella di Caiazzo (7), sembra opportuno, tenendo da  conto la continuità storica, cultuale, rituale, simbolistica e figurativa, dire, innanzitutto, di un luogo di culto, tuttora consacrato, in territorio alifano. Monaci della Congregazione Celestiniana  erano presenti in diocesi nel 1294 (8), nel  1310, nel ’25 (9)  e nel ‘400.

Relazioni di vescovi, di fine ‘500 e del secolo successivo, informano che nel 1600, nella campagna alifana v’erano una chiesa dei monaci Celestini ed un’altra di Santa Maria de Grazia; nel 1634 e nel ’59,  fuori città stava il monastero celestino sotto il titolo di Santa Maria Grazias o della Beatissima Vergine Maria de Grazia; nel 1664, nel ’67, nel ‘70 e nel ’73,  fuori la stessa città stava la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, oltre le mura; nel 1676, Vallata, nella terra di Piedimonte, aveva un monastero dell’ordine celestiniano (10).

Nel ‘700,  il Trutta,  accennò alla  “Chiesa campestre di S. Maria delle Grazie di Alife” e a dove “era la Chiesa e Convento prima degli osservanti di S. Francesco, e poi de’ Monaci Celestini, detta S. Maria delle Grazie”, ormai “diruta Chiesa” (11).

In una memoria “ricopiata e corretta” da “Giuseppe Comparone Diacono nel 1861”, si legge di una chiesa “detta di S.a Maria delle Grazie, del Convento dei Padri Celestini […] fuori porta d’Alife”  (12).

 Nella prima metà del ‘900, il Finelli, facendo riferimento, più nel dettaglio “all’antico convento della Madonna delle grazie tenuto prima dai Frati minori e poi dai Celestini” mette in chiaro che il “Monastero di S. Maria detto anche di S. Francesco, si trovava […]nel luogo che anche oggi si appella Croce di S. Maria, ove si vedono ancora i ruderi della chiesa trasformata in casa colonica”. Lo avevano fondato i Frati Minori Francescani  che poi, si ignora quando, lo abbandonarono; lo occuparono i Celestini che, nella seconda metà del ‘600, a loro volta lo lasciarono e si trasferirono a Piedimonte. Il Finelli dicendo anche della “attuale cappella della Madonna delle Grazie, situata a nord-ovest a circa un chilometro dalla città” precisa, tra l’altro: “nell’antico feudo dei Conti Gaetani di Laurenzana, si trova la chiesetta della Madonna delle Grazie. […] Considerata la forma e lo  spessore delle mura fa supporre che sia stato un antico sepolcro […] trasformato poi in chiesa, ad opera dei suddetti Conti, per comodità dei loro coloni. Vi si venera una statua della Vergine delle Grazie […] vi si celebra la festa, nella quarta domenica di settembre” (13).

L’aspetto dell’edificio mutò nel 1938, quando, per voto e su progetto dell’ingegnere Francesco Gaetani di Laurenzana, venne costruita, contigua alla preesistente, un’altra struttura; anzi, nel 1968, il Gaetani lascio il tempietto alla diocesi e, tra il ’68-69, l’orto di lato venne trasformato in piazzetta  (14).  Negli anni Ottanta, la costruzione godette dei fondi elargiti a causa dei terremoti del novembre ‘80 e de febbraio ’81. In quella circostanza  si notò che il Finelli aveva già riconosciuto, nella detta cappella un “sepolcro monumentale […] anticipando così i dati scientificamente inoppugnabili venuti alla luce solo in seguito ai rilievi ed ai restauri eseguiti dall’ arch. Rosa Carafa, nel 1983-85” (15).  Nel 2001, l’aspetto è stato modificato in quello attuale (16).

Per quanto concerne l’iconografia mariana nel culto locale, dirò che non ne mancano prove. Nel particolare, la più vetusta pare essere la “Immagine di Nostra Donna delle Grazie” che, su tavola, secondo la citata memoria “dicesi d’esser pennello d’un Laico della Minerva di Roma […]collocata dentro la Chiesa anco detta di S.a Maria delle Grazie” ad Alife.  Nella seconda metà del ‘600, “la Sacra Immagine della Signora delle Grazie” venne portata “nella Vallata di Piedimonte, al Convento ivi posto dei PP. Celestini”; il popolo di Latina, in diocesi di Caiazzo, chiese in dono ed ottenne quella riproduzione; nel 1699, la stessa  fu portata in processione nella chiesa di Ave Gratia Plena, in Latina, e quindi, nel 1701, sistemata nell’appena costruita chiesa della Madonna delle Grazie. Al presente è custodita nella parrocchiale di San Lorenzo  (17).  L’icona, restaurata di recente, presenta la Vergine che, a mezzo busto con tre teste d’angeli alla base,  sostiene col braccio destro il Bambino e con la  mano sinistra gli porge il seno  (18).

E qui sembra appropriato almeno rimandare anche a immagini analoghe: per Latina, a un dipinto, di F. Ciccarelli e ad una statua, del secolo scorso, nel santuario Madonna delle Grazie, nonché a due affreschi, verosimilmente uno del XIV secolo  e l’altro del XVI, nella chiesa dell’Annunziata (19); per Piedimonte, a due affreschi medievali, nella chiesa di Santa Maria Occorrevole (20) e ad un dipinto del ‘700, già nella cappella Madonna delle Grazie e adesso nel Museo di Ave Gratia Plena.

Ritornando ad Alife, nella Chiesa della Madonna delle Grazie –come ancora oggi viene definita, comunemente– si conservano  due icone: la prima, del 1939 (?), sopra la porta d’entrata, raffigura la Vergine, a mezzo busto, la quale con il braccio destro sorregge il Pargolo e con la mano sinistra tiene il seno col quale lo allatta (21); l’altra, più recente e di Domenico Minafra, nella contigua struttura romana,  rappresenta la Madonna che, a mezzo busto su tre teste d’angeli alla base, col braccio destro sostiene il Bambino e con la mano sinistra gli mostra il seno  (22). Non vanno dimenticati, all’esterno del tempio, due raffigurazioni sopra rispettivi supporti in muratura: un bassorilievo circolare in bronzo, dello scultore Giancarlo Offreda, riproduce, con dedica del maggio 1997, la Madonna delle Grazie, a mezzo busto, con in braccio il pargolo che allatta e alla base tre teste d’angeli e paesaggio rurale con mura cittadine; una composizione in 28 maioliche, di Arte in Arte,  effigia, con dedica del settembre 2009, la Vergine a mezzo busto con in braccio il Bambino (23).

E non è tutto: sono state registrate anche offerte in natura, specialmente in grano, e di diverso altro genere; con esse “si è cercato”, altresì, “di rendere i Festeggiamenti in onore della Madonna, sempre più legati allo spirito originario di festa delle famiglie” (24).

Inoltre, per quanto non del tutto inerenti al tema, ricorderò, perché finora inedite, pare, la cappellina in località Croce di Santa Maria, a qualche centinaio di metri sulla strada per Piedimonte, e le immagini, analoghe, della Madonna delle Grazie, in due maioliche sopra l’ingresso e in un quadro all’interno (25).

A questo punto mi pare non superfluo far notare che tutte queste tangibili testimonianze sono state, già prima della loro realizzazione, effetto di iperdulia intensa, singola o collettiva, dovuta a spontanea, convinta fiducia, a intercessioni chieste e a grazie ricevute (26).

Non solo: a parte la definizione per monastero e chiesa di Santa Maria de Grazia, al singolare, rinvenuta soltanto qualche volta all’inizio nel ‘600, al termine degli anni Novanta e ai giorni nostri, quella di Santa Maria delle Grazie, al plurale, documentata in molte altre occasioni, alimenta dal ‘600,  una tradizione plurisecolare, oltretutto convalidata dall’autorità di sacerdoti e dalla fede di popolo, degne di considerazione.

Per quanto, infine, attiene alla statua di cui al tema, alta cm. 108, dalla coroncina alla base di cm. 10  (27),  restaurata nel 2005 e anche oggi venerata nella piccola chiesa, è in ”legno di tiglio” e “Si tratta, con molta probabilità di una ripresa in epoca più recente di modelli tardo-medievali, […] in ambito napoletano, in voga a partire dal XVII secolo. Il bambino Gesù nelle braccia della Madonna, poiché l’originale fu rubato, di per sé non rientra nell’opera di restauro” (28), ma non è granché differente.

Più nel caratteristico, la Madonna sta in posizione eretta, assorta fissa lo sguardo in avanti, lontano, come verso un futuro nient’affatto lieto e con l’arto superiore sinistro sostiene il Pargolo seduto, il quale sembra guardare la mano destra della madre che tra le falangi del pollice e dell’indice mostra, dettaglio singolare, un chicco, un chicco soltanto, di melagrana.

Che si tratti di acino di quel frutto ce lo dice, in vernacolo, la locale tradizione secondo cui la Vergine tiene con due dita ‘nu cìcciu re marianàtu (29), ossia un chicco di melogranato. Circa il simbolismo, dunque, penso che tutto si trovi racchiuso in quel semplice, ma emblematico, chicco: prescelto, ormai maturo, fra i tanti,  e pronto, se spezzato, a versare il suo prelibato succo rosso, allude al Bambino che da adulto darà, nel corso di un lungo patire, corpo e sangue, per la redenzione dell’umanità.

 

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NOTE

1- Cfr. Rosario Di Lello, Un inedito quaderno di magie in diocesi di Alife-Caiazzo. Indizi e prove, ipotesi e certezze, in “Annuario di storia cultura e varia umanità, 2018”, Associazione Storica Valle Telesina, 2019, pp. 59-99.  2- E.T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino, Einaudi, 1983, pp. 158, 165-167,171. 3- R. Di Lello, cit. 4- Cfr. Gianfrancesco Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alifane, Napoli, Simoniana, 1776, pass. Theodor Mommsen, ALRB, Corpus Inscriptionum Latinarum, IX, Berlino, Reimero, 1883, pp. 214-227. Dario Cinti, Dizionario mitologico, Milano, Gruppo editoriale, 1989, alle voci. 5-Francesco Saverio Finelli, Città di Alife e Diocesi Cenni storici, Scafati, Rinascimento, 1928, pp. 76-78). 6- R. Di Lello, cit. 7- AA.VV. Annuario 2017, Diocesi di Alife -Caiazzo, 2017, p. 29. 8- Cfr. Emilio Salvatore, S. Maria de gratia. Storia teologia e spiritualità, Piedimonte Matese, Grillo, 2007, p. 17.  9- Cfr. AA.VV, a c. d., Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV  Campania, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1942, X, pp. 150-152. 10- Cfr. Piedimonte Matese, Biblioteca Diocesana, Copie di Relazioni ad Limina Apostolorum, I, 1600 e segg. 11- G. Trutta, cit., pp. 137 e 143. 12- Cfr. Memoria, in AA.VV., Il santuario della Madonna delle Grazie 1699-1999, Piedimonte Matese, Tipografica del Matese, 1999, pp. 24-31. 13- F. S. Finelli, cit., pp. 94-95, 99, 194, 212-213. 14-  Circa il complesso attuale e il mutato titolo, cfr. E. Salvatore, S. Maria de gratia, cit., p. 22, 45 e pass. G. Parisi, Alife e le sue chiese. Itinerario storico-artistico, Piedimonte Matese, Bandista, 2006, pp. 103-104. 15- Giovanni Guadagno, Prefazione, in F. S. Finelli, cit., ed. anastatica 1985.  p. VI. 16- Cfr. E. Salvatore, S. Maria de gratia, cit., pp. 27 e sgg. Biagio Romano, La storia di Baia e Latina attraverso le sue chiese. Dal 979 ai tempi recenti, Piedimonte Matese, Tipografica del Matese, 2016,  p. 82. 17- Cfr. Memoria, in AA.VV, Il Santuario, cit. pp. 24-31 e AA. VV., Annuario, cit., pp. 146-147.  18- Vid. Facebook: Madonna delle Grazie, Baia e Latina. 19- Vid., AA.VV., Il Santuario, cit., p. 34, nonché B. Romano, cit., pp. 193 e 194. 20-Vid. Geppino Buonomo, Antonella Di Rienzo, Santa Maria Occorrevole […] di Piedimonte, ivi, Comunità Frati Minori, 2001, figg. 3 e 4, pp. 61 e 62. 21- Vid. E Salvatore, S. Maria de gratia, cit., fig. 1, p.29 e pass. 22- Vid. G. Parisi, cit., p. 106 ed  E. Salvatore, S. Maria de gratia, cit., fig. 1, p. 43. 23- Vid. E. Salvatore, S. Maria de gratia, cit. fig. 1, p. 28 e immagini, in fototeche di Fernando Occhibove, Piedimonte Matese e di Antonio Del Santo, Alife. 24- E. Salvatore, S. Maria de gratia, cit., pp. 44-47. 25- Vid. immagini, in fototeche cit. 26- Per i miracoli, cfr. E. Salvatore,  S. Maria de gratia, cit., p. 61. 27- Immagini e misure di A. Del Santo. 28- Vid. E. Salvatore, Il restauro e l’incoronazione della Statua della B.V. Maria Madre della Grazia nell’omonimo Santuario, in G. Parisi, cit., pp. 163 -164. 29- Ref. A. Del Santo, tel. 10-4-2019.

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