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CINEMA, “INTERVALLO”, PARTE LA NUOVA RUBRICA DI CASERTASERA: IL CINEMA D’AUTORE, LA REGISTA LO SPIEGA COSI

MELA BOEV|Solo il nome, anche a dirlo adesso, mi fa sobbalzare qua nell’animo, Marco Ferreri! ” dice Roberto Benigni nel 2019.

Così’ vorrei iniziare il primo dei miei Intervalli dedicati ai film italiani (che amo), e presentare alcuni esempi di cinema d’autore anche a coloro che non hanno avuto l’occasione di vedere o apprezzare mai uno di quei film che normalmente chiamiamo “strani”. Proverò’ a stimolare un pensiero più’ aperto su quello che ” il regista voleva dire”. Ma cos’ e’ il “cinema d’autore? E’ un modo di fare film sviluppatasi dagli anni sessanta in poi, conseguenza anche di una crisi dell’industria cinematografica che vedeva sempre meno persone nelle sale e sempre più’ di fronte al televisore. Chi andava al cinema ora cercava qualcosa di più’ del solo romanticismo o dell’azione  spettacolare, e così l’industria ha dato spazio a sperimentatori del linguaggio che hanno potuto esprimere cose nuove, ma sopratutto dirle in un modo nuovo, personale, “d’autore” appunto . Il pubblico ora andava a vedere un film non solo perché’ “parlava di” e non solo perché “c’era quel’ l’attore” , ma anche perché’ era il lavoro di un particolare artista dallo stile unico.

Ho pensato di esordire questa rubrica quindi con un’ hola di entusiasmo come solo Benigni sa dare, per il mio regista preferito, Marco Ferreri. Conoscete Marco Ferreri? No?

Allora ve lo presento io, o meglio vi presento solo un suo film : “Il seme dell’Uomo” (1969). Ferreri era un regista che ha riscosso successi altalenanti, forse mai riconosciuto come uno dei grandi italiani. Caustico, irriverente, incatalogabile, se non come “autore”, appunto.

Il seme dell’uomo” racconta di un futuro immaginato dopo l’avvento di una catastrofe epidemica, in cui una coppia, per salvarsi da morte certa, si rifugia in una casa abbandonata lungo il mare. In questo ritiro i due personaggi evolvono e fanno degli incontri con i loro simili, che passando di li’ rivelano sempre più’ la necessita’ che il mondo ritrovi la speranza, grazie ad una nuova genie, e si possa ripopolare di nuovo. Ma nonostante il ragazzo desideri ardentemente diventare padre, la compagna si rifiuta. ” Non ne abbiamo il diritto” risponde. Di fronte a questa enigmatica risposta, la storia si svolge per rendere sempre più’ evidente un conflitto che porta i personaggi verso uno scenario non più’ apocalittico-fantascientifico, ma antichissimo e primordiale. Cosa succede in questo film? Praticamente nulla. I personaggi non hanno una psicologia che giustifichi le loro posizioni e scelte, non ci permettono di identificarci in loro, ci lasciano pieni di domande. Non sono che simboli dei comportamenti umani. E problemi che conosciamo ormai bene (sopratutto quello della responsabilità dell’uomo nella distruzione dell’ambiente naturale in cui vive) sono, in questo film, mostrati, ma mai in modo esplicito. La storia qui si racconta non solo con le azioni, ma anche con moltissimi elementi che percepiamo in modo meno diretto: il film e’ interamente doppiato (e a questo siamo abituati) ma in realtà’ tutti i suoni del film costruiscono una rete che da voce ad un mondo esterno, la natura, che ci richiama all’attenzione: suoni lontani, echi, onde del mare, boati incomprensibili, ronzii, rumori meccanici stridenti.

Tutto parla, tutto in questo film e’ uno stimolo a vedere le cose con più’ attenzione: gli oggetti, di cui il ragazzo fa collezione per mostrare ai posteri come gli uomini vivevano prima della catastrofe (tra cui una bella forma di Parmigiano), i costumi, i pochi dialoghi, gli ambienti, i gesti crudeli e quelli piccolissimi. Con questo film credo possiate veramente avere un’idea di cosa sia il cinema d’autore, come il l’immagine in movimento non sia appunto solo movimento, ma anche portatrice di segni e quesiti. Uno dei quali, potrebbe essere: come mai noi esseri umani continuiamo a creare e distruggere senza posa? Quanto deve essere grande la balena spiaggiata di fronte alla nostra casa, per capire che dobbiamo fermarci nella nostra corsa al consumo che non ci permette di godere delle cose più’ semplici?

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