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LA SANITA’ NELLE ZONE INTERNE: DALLA INTELLIGENZA ARTIFICIALE ALLA REALTA’

* GIULIO LIBERATORE| Basta leggere qualche articolo sulla letteratura scientifica per rendersi conto della enorme avanzata della ricerca scientifica nella realtà medica del prossimo futuro. Addirittura esiste uno studio che prevede, in un futuro nemmeno troppo remoto, la possibilità di giungere ad una diagnosi pressoché certa mediante l’ascolto della voce del paziente, per ciò che riguarda non solo l’apparato fonetico e respiratorio (COVID compreso) ma anche nelle malattie degenerative neurologiche (Alzheimer compreso), atteso che la voce potrebbe essere diversa e riconoscibile… Senza addentrarci in queste futuribili possibilità diagnostiche e senza prevedere consequenziali sviluppi terapeutici, dobbiamo andare avanti nella speranza perché, altrimenti, potremmo essere presi dallo sconforto, se non dalla depressione, nel vedere la fotografia attuale della sanità nelle zone interne come la nostra.

Sono anni, ormai, che siamo impantanati nella discussione sul Dea di primo livello del nostro ospedale matesino. Ormai sembra diventato un mantra su cui discutere a tempo indeterminato, senza approdare  a nulla. Innumerevoli politici, locali e non, hanno dissertato sul problema… senza approdare praticamente a nulla, dando alibi in regione più che pretendere soluzioni al problema, tanto che Dea sembra diventato un acronimo senza significato, da citare a caso e senza riempirlo di alcun contenuto.

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Diciamocela tutta : che senso ha chiamarsi Dea se questo dovesse essere un contenitore senza alcun contenuto ? Ma cosa bisogna fare per attivare un eliporto, senza essere costretti a ricorrere sempre allo stadio per far atterrare un elicottero ? Ma ci vuole tanto per capire che senza personale formato ed assunto, con regolare contratto ed in numero sufficiente, non ci saranno ospedale o case di comunità che tengano e che la sanità territoriale e la continuità assistenziale debbono finire di essere solo parole senza contenuto ?  L’ultima frontiera della medicina, in tante parti del paese ed in particolare nelle zone interne, sembra essere diventata quella delle cooperative… professionisti a cottimo, ben pagati ma senza contratti, cui ricorrere per tamponare le gravi lacune di organico della dipendenza, con l’unico risultato di fare in modo che un paziente venga visitato ogni giorno da un medico diverso, al quale non si potrà neppure chiede conto della continuità nella diagnosi e nella terapia, atteso che probabilmente visiterà il medesimo paziente dopo una settimana. L’unica ricaduta che sembra aver ottenuto tale pratica sarebbe quella di parecchi medici che trovano più conveniente dimettersi dalla dipendenza ed associarsi a qualche cooperativa, atteso che con qualche turno mensile riuscirebbero a guadagnare quanto prima guadagnavano con lo stipendio di un mese, senza stress, responsabilità e quant’altro, dedicandosi magari ad una professione libera selvaggia e senza problemi, visto che non si avrebbe nessun rapporto di dipendenza, con buona pace di lacci e lacciuoli di intramoenia e liste di attesa…. Ma è questa la sanità che vogliamo nel nuovo millennio o vogliamo implementare l’intelligenza artificiale e la telemedicina ??? Io credo che a noi basterebbe che chi di dovere, senza stare a preoccuparsi di come ci chiamiamo, pensi a dotare le nostre realtà, ospedaliere o territoriale, di personale e di attrezzature o no ?  Alziamo forte la voce e cerchiamo di far capire che, per diventare Dea, ci vogliono indispensabili passaggi legislativi o amministrativi, che noi questo lo sappiamo e, soprattutto, che a noi interessano i contenuti e non gli acronimi chiamateci come volete, ma datevi una mossa.

* Dr. Giulio Liberatore già Direttore Uoc e Direttore Sanitario Aziendale Vice Presidente Nazionale ANAAO Assomed Associazione Medici Dirigenti.

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